Intervento di Luca Capiluppi psicologo ed orientatore formativo e lavorativo

Stai attento! Sì dico proprio a te! A te che stai leggendo. Stai attento! Leggi questo capitolo con attenzione, non distrarti, non alzare gli occhi dal testo. Mi devi ascoltare.

Sei ancora lì? Bene. Perché sei ancora lì? Non ho detto niente di utile ed istruttivo. Se stai ancora leggendo queste righe è perché ti aspetti che stia per arrivare qualcosa di interessante, perché vuoi capire dove va a finire questo discorso cominciato in modo così insolito per essere il testo di un libro diffuso.

“Stai attento”, o al plurale, “state attenti” è una delle frasi più ripetute nei luoghi dell’apprendimento, la scuola, alla lezione di pianoforte o mentre il mister spiega lo schema per battere la squadra avversaria.

Perché? Perché chiedere a delle persone di stare attenti?

L’essere umano è per natura attento, se non lo fosse stato si sarebbe estinto: mangiato da belve feroci, non proteggendosi da malattie, siamo attenti di natura.

“Stai attento!” dice il professore all’alunno. “Perché non segui?”

Che domanda… Veramente vogliamo sapere perché non ci ascoltano?

Lo sappiamo benissimo. Non ci ascoltano perché non siamo interessanti.

Attenzione (questa volta lo dico per davvero) non sono le cose che diciamo che non sono interessanti. È il modo in cui le diciamo.

Siamo noiosi, lenti, piatti, ripetitivi. È per questo che abbiamo bisogno di richiamare l’attenzione.

Che assurdità! Pensate, è un po’ come se i registi avessero previsto di inserire nei film dei richiami all’attenzione per il pubblico che si annoia: durante una scena un po’ lenta scorre in sovraimpressione la scritta: “siete pregati di stare attenti, se non lo farete aumenteremo il prezzo del vostro abbonamento al nostro canale in streaming!

Il punto è che se mi annoio cambio canale, e ne ho diritto. Ma in aula, l’alunno non può cambiare canale. Non può spegnere. O almeno diciamo che può cambiare canale mentale e sintonizzarsi altrove.

Ma le cose ora sono cambiate. Tutto questo era quello che succedeva almeno fino agli inizi di marzo del 2020. Poi di colpo un nuovo protagonista della vita terrena, il Covid, ha trasformato tante nostre abitudini e tra queste ha messo uno scherma tra chi insegna e chi impara. E adesso lo studente può cambiare canale.

Sì lo so! Mi starete dicendo: “ma gli studenti non possono spegnere le telecamere, c’è il decreto X, la circolare Y e la regola Z, se lo fanno vengono sgridati, notati, sospesi, schedati, bocciati”.

È vero, abbiamo cercato di digitalizzare il piano normativo ma ormai Truman è arrivato ai confini del suo mondo. Ma come Truman chi? Truman del Truman Show. Quando con la barchetta naviga e scopre che il suo mondo, che sembrava sconfinato, ha dei limiti ben concreti.

È bastato metterci dietro ad uno schermo per svelare tutti i limiti delle nostre abilità di insegnamento.

Ci sono insegnanti e formatori che riescono ad avere un pubblico di studenti collegati e partecipativi, altri no. E potete dare tutti le note che volete, tutti i rapporti che immaginate ma la sostanza non cambia: è ora di adeguare la nostra comunicazione al nostro pubblico.

Lo so che vi state arrabbiando. Avete studiato, amate la vostra materia, vi impegnate per fare al meglio il vostro lavoro, ci mettete tutte le vostre energie. Ora non basta più sapere, ma bisogna anche saperlo dire. Altrimenti dall’altra parte avremo icone, o sguardi apparentemente diretti a noi, mentre in realtà sotto alla telecamera scorrono le immagini di un film o di un videogioco.

La cosa che trovo straordinaria della didattica a distanza o della formazione a distanza è che quando tutti hanno le telecamere spente, quando tutti si presentano solo con le loro iconcine colorate, lo schermo nero riflette la mia faccia, come a dire: “stai parlando a te stesso”.

È vero che la modalità a distanza ha creato non pochi problemi agli studenti, è vero che ha inasprito le disuguaglianze tra gli studenti, è vero che ha fatto i crescere i tassi di abbandono scolastico. Ma è anche vero che in molte aule i docenti spesso parlano a se stessi ed è la sola presenza fisica di cui parlavamo prima che li salva da una solitudine a cui oggi li condanna la DAD.

Siete ancora lì? Perché? Sapete perché non avete abbandonato queste pagine? Perché siete emozionati.

Non so quale emozione vi stia attraversando, può essere che siate divertiti, incuriositi oppure arrabbiati, infastiditi. Però siete qui.

Le emozioni ci tengono incollati alla realtà, ci invogliano a scoprire di più.

Il virtuale non è il luogo dove vorrei vivere, lavorare e incontrare le persone. Ma il mondo della comunicazione a distanza ha svelato quanto vuoti possono essere tanti nostri momenti comunicativi nella giornata. Non solo nell’insegnamento ma anche in altri contesti.

Io rientro nell’epoca dei fidanzamenti a gettone. Sapete cosa intendo? Intendo quelle storie d’amore a distanza, dove l’unico modo per parlare lontano dall’orecchio indiscreto dei genitori era uscire di casa con una manciata di gettoni (poi con la scheda telefonica) per andare in una cabina e chiamare la propria dolce metà.

Avevamo i minuti contati per dire tutto quello che ci passava per il cuore e la mente. Il tempo non bastava mai, rimanevamo con tanti “non detti” che però germogliavano dentro di noi e diventavano parole intense per il prossimo incontro telefonico (se nel frattempo lei o lui non si erano innamorati di qualcuno fisicamente più presente).

Oggi abbiamo a disposizione minuti e giga illimitati, ma per dire cosa?

A teatro e ai concerti è vietato fare riprese audio e video. Anche nelle classi di scuola. Ma i motivi che spingono il pubblico a registrare sono diversi: nel primo caso è per portarsi via un pezzo dell’evento, per immortalarlo nella memoria, perché unico e irripetibile. Nel secondo caso è per postare qualche cosa di denigrante su WhatsApp e ridere alle spalle di un Prof.

Come sarebbe bello se gli studenti registrassero le lezioni per diffonderle sui social come fanno con le musiche che amano o con i video dei loro miti. Vorrebbe dire che abbiamo dato loro qualcosa di prezioso.

Qualcuno di voi starà pensando: “ma tu continui a fare paragoni con il cinema, il teatro, la musica…. ma gli insegnanti non sono degli attori, non siamo gente di spettacolo!”. Peccato. Perché io ricordo ancora un mio prof delle superiori che era veramente uno spettacolo. Ti avrebbe tenuto incollato ad ascoltarlo anche solo leggendo il bugiardino di un medicinale.

Avere davanti un pubblico, un uditorio, è un privilegio. Un regalo. È per questo abbiamo il diritto ed il dovere di fare tutto quello che fa un attore, un musicista per rendere la nostra lezione indimenticabile.

I 12 diritti e doveri di chi insegna e fa formazione online (e che non si vergogna di pensarsi anche un po uomo o donna di spettacolo):

  1. Interessarci di chi ci ascolta, chiedere agli studenti o ai corsisti delle loro passioni, abitudini, interessi, motivazioni.
  2. Trovare collegamenti tra l’argomento della nostra lezione e le vite delle persone che ci stanno ascoltando (a questo ci serve il punto 1).
  3. Raccontare storie di persone, di fatti realmente accaduti, enfatizzando il piano emotivo, facilitando l’immedesimazione.
  4. Drammatizzare: portare emozioni dolorose, che facciano piangere, che portino pesantezza, frustrazione e dolore. Perché no? Avete paura che si facciano male?
  5. Provocare: fare arrabbiare suscitando emozioni contrastanti, per accendere l’attenzione e anche la discussione. Perché no? Non si arrabbiano con voi ma con un’idea, un concetto, un valore. Voi siete solo dei facilitatori della discussione.
  6. Giocare: creare momenti ludici, dove si possa trovare leggerezza. Perché no? Il gioco è il principale strumento di apprendimento in natura.
  7. Spezzare frequentemente il ritmo del discorso, utilizzando pause, cambi di ritmo e di tono.
  8. Mostrare altro oltre alla nostra faccia e alle solite slide. Mentre fate lezione supportate le vostre parole con disegni, foto, oggetti fisici mostrati alla telecamera. Siamo pieni di strumenti digitali bellissimi ma a volte un oggetto reale desta più attenzione di una super presentazione in powerpoint.
  9. Cambiare registro: alternate personaggi diversi nel vostro modo di fare lezione, come se si alternassero attori diversi che portano contenuti diversi.
  10. Ascoltate chi vuole parlare ma sappiate anche moderare interventi e discussioni. La noia a volte è portata anche da altri.
  11. Chiedere di accendere le telecamere solo alla fine del nostro incontro, per ringraziare del tempo che ci hanno dedicato. Perché pensare che sia dovuto?
  12. Sfidare le convenzioni, sbagliare. Perché se una prassi che è violentemente entrata nella nostra vita da un anno non può avvalersi di tentativi, sbagli e cambiamenti allora vuol proprio dire che il nostro spirito di adattamento è morto e sepolto.

Siete ancora lì? Bene. Sono contento, vuol dire che vi ho emozionato almeno un po’ ed oggi lo ritengo ancora un privilegio concesso a chi ha l’onore e l’onere di avere qualcuno che ascolta.

Intervento di Luca Capiluppi psicologo ed orientatore formativo e lavorativo