Come la comunicazione digitale può diventare un efficace strumento didattico per prendere consapevolezza e valorizzare la propria quotidianità fra schermi digitali e necessità di salvaguardia della memoria.

Ha senso parlare di memoria nel tempo dei Social Network? Non solo ha senso ma direi che vi è una forte necessità di parlare di memoria a dispetto dell’azione di quelli che molti definiscono !armi di distrazione di massa. L’effetto noto come !Filter Bubble sta immergendo giovani e giovanissimi in una bolla di relazioni ed informazioni auto-referenziale e fine a sé stessa con la conseguenza di estraniarsi dall’attualità e non sapere cosa davvero di rilevante sta succedendo nel proprio tempo. Non solo, si corre così il rischio non solo di perdere coscienza del proprio passato ma soprattutto di non avvertire più la necessità di storicizzare alcunché. Incredibile ma vero, a causa dei social siamo passati in poco tempo da avere una innovativa possibilità di connettersi con tutto il mondo grazie ad Internet informandosi su qualsiasi cosa grazie ai motori di ricerca ad adagiarsi e whatsappare dalla mattina alla sera su una serie di amenità che riguardano il nostro stretto giro di conoscenze.

Come è potuto succedere? Come prenderne consapevolezza e come porci rimedio? E come questo può incidere sui meccanismi collettivi di conservazione della memoria?

you-and-the-filter-bubblePer prima cosa conviene chiarire che l’informazione digitale non è facilmente conservabile ma bensì è facilmente riproducibile il che vuol dire che a breve e medio termine un’informazione digitale è anche facilmente conservabile ma a lungo termine ciò può essere attuabile (la conservazione) solo se si prendono alcuni accorgimenti come l’attuazione di !backup su dispositivi hardware che rimangano integri ed accessibili e soprattutto se si utilizza linguaggi interoperabili ovvero se si fa riferimento a codici e linguaggi digitali di tipo !Open Source come quelli offerti dal vasto movimento tecnologico noto come !Software Libero e di cui i sistemi operativi e software applicativi come Linux rappresentano gli esempi più noti (per gli appassionati del settore).

Nell’ambito della comunicazione digitale, i motori di ricerca, hanno rappresentato uno degli strumenti di conservazione della memoria digitale fra più importanti e non è un caso che il più famoso di tutti, Google abbia usufruito non solo di una trovata di ingegno di un ricercatore italiano (tale Marchiori) ma anche e soprattutto di tantissima tecnologia Open Source. Conoscere e saper utilizzare i motori di ricerca (canali immagini compresi) e magari scoprire che esistono altri potenti motori di ricerca nel mondo (Baidu, Yandex, Bing e iStella tanto per fare alcuni nomi) vuol dire poter accedere a dei patrimoni informativi digitali immensi ed anche del passato considerato che spesso i motori di ricerca  sono impegnati non solo in importanti attività di indicizzazione dell’informazione ma anche di digitalizzazione e conservazione di patrimoni librari e culturali.

Internet_Archive_logo_and_wordmarkE’ il caso di Archive.org che non solo ci consente di resuscitare siti Web non più esistenti (?!?) tramite la !Way Back Machine  utilizzabile anche tramite comodi plugin per browser (che non sono motori di ricerca vero? 😉 come !Resurrect Pages ma addirittura ci da la possibilità in prima persona di salvaguardare materiale digitale in formato standard a futura memoria magari ri-diffondendolo attraverso reti specializzate nella condivisione !P2P e trovandosi in buona compagnia di eserciti di appassionati conservatori di video, audio, libri elettronici, software e videogiochi del passato.

Peraltro i motori di ricerca e le basi dati (repository di file di vario tipo) sono solo alcuni dei tanti strumenti che gli appassionati di tecnologia digitale si sono inventati per condividere ma anche conservare l’informazione: che dire allora dei !book scanner per digitalizzare libri preziosi ed antichi oppure della tecnologia !QR Code per usufruire della cosiddetta !Realtà Aumentata e magari trovarsi a passeggiare in una città e vedere ri-apparire sul proprio smartphone e tablet graffiti od altre opere d’arte attualmente non più esistenti.

Ed i social in tutto questo come possono essere contestualizzati? Beh i social continuano salvo rare eccezioni – vedi !instameeting – a non proporre iniziative significative in  merito di conservazione della memoria digitale anche in virtù della loro natura essenziale di comunicazione effimera ed istantanea. Viceversa ed occasionalmente contribuiscono a diffondere cattive abitudini e false consapevolezze come nel caso più eclatante di SnapChat che induce ad una falsa convinzione di scambiarsi immagini segrete fra adolescenti che poi spariscano nel nulla (ma quando mai…) contribuendo ad alimentare un clima da Zero Privacy quanto meno poco sereno.

Peraltro i social in qualche maniera contribuiscono all’opera di indicizzazione dei motori di ricerca contribuendo alla produzione di informazione archiviabile dai medesimi ed a volte in maniera più efficace di quanto non venga fatto dalle stesse funzioni di ricerca dei social (provate a fare una ricerca aggiungendo site:facebook su Google…) mentre in altri casi producono delle funzionalità interne di ricerca assolutamente interessanti (come quella avanzata di Twitter).

Oltre ai social che intessono relazioni e ai motori di ricerca che provano ad indicizzare di tutto e di più (reti informative ma anche relazionali comprese) si sta inoltre affacciando sullo scenario della comunicazione digitale una nuova opportunità che è quella dell’accesso agli !Open Data e la possibilità di interpretarli con sistemi di intelligenza artificiale come Watson Analytics: un’altra storia, certo, che varrebbe però la pena di raccontare… e come tutte le storie fatta di parole che possono ferire o fare innamorare, divertire o cambiare lo stato di cose presenti, costruire o rompere relazioni social, annoiare o magari, nella loro accezione di !elementi Abracadabra, far scoprire veri e propri tesori informativi da tramandare ai posteri non fosse altro per il piacere di ragionare in prospettiva.

Enrico Bisenzi